Gli articoli 1 e 2, paragrafo 2, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale in virtù della quale, da un lato, il Venerdì santo è un giorno festivo solo per i lavoratori appartenenti a talune chiese cristiane e, dall’altro, solo tali lavoratori hanno diritto, se chiamati a lavorare in tale giorno festivo, ad un’indennità complementare alla retribuzione percepita per le prestazioni svolte in tale giorno costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione.
Le misure previste da tale normativa nazionale non possono essere considerate né misure necessarie alla preservazione dei diritti e delle libertà altrui, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, di detta direttiva, né misure specifiche destinate a compensare svantaggi correlati alla religione, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva.
L’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che, finché lo Stato membro interessato non abbia modificato, al fine di ripristinare la parità di trattamento, la propria normativa che concede il diritto a un giorno festivo il Venerdì santo solo ai lavoratori membri di talune chiese cristiane, un datore di lavoro privato soggetto a detta normativa ha l’obbligo di accordare anche agli altri suoi lavoratori il diritto ad un giorno festivo il Venerdì santo, purché questi ultimi abbiano chiesto in anticipo a detto datore di lavoro di non dover lavorare quel giorno e, di conseguenza, di riconoscere a tali lavoratori il diritto ad un’indennità complementare alla retribuzione percepita per le prestazioni svolte in tale giorno, quando detto datore di lavoro non abbia accolto siffatta richiesta.